PENSIERI SULLA MAGLIETTA
FRANCESCO NETTI DJ SET
Celebrare un avvenimento con una maglietta
stampata serve probabilmente non solo a contribuire alla diffusione
pubblicitaria dell’iniziativa, ma a lasciare in chi la riceve o la indossi pure
solo per quell’evento un segno, una traccia, un ricordo.
Quella realizzata in occasione del FRANCESCO NETTI
EXPERIENCE DJ SET di domenica 27 agosto 2023 presso l’atrio del Palazzo
Marchesale a Santeramo in Colle (BA), mi ha offerto anche una pista di
riflessione.
Ho cercato in più occasioni di cogliere il senso
dell’espressione usata da Francesco Netti in una lettera a Domenico Morelli del
luglio 1859 nella quale afferma di essere sempre un forestiero nel paese nel
quale era nato.
Cosa può significare veramente quella espressione
ieri ed oggi? Cosa o chi genera questo senso di estraneità nella propria terra?
L’espressione mi è parsa di una drammaticità
paradigmatica, quasi esemplare, meritevole di approfondimento e di qualche
osservazione per andare oltre il semplice sentimento del sentirsi incompreso,
in un paese abitato da una secolare arretratezza e per l’apatia degli abitanti.
Cosa crea il senso di identità e di appartenenza e
cosa invece il suo contrario, se davvero la coscienza identitaria è un bisogno
primario di ogni uomo?
Tentare la risposta a simile domanda, dove cercare
il senso autentico della propria identità, non può prescindere anche dal dare
risposta a questioni ancora più profonde: chi sono io? Da dove vengo? A chi
appartengo? Tanto che per affrontarle sono nate la filosofia, la religione, la
musica, l’arte, tutte quelle discipline che trovano il loro fuoco non nel mondo
esterno, ma nell’universo interiore, dove spesso drammaticamente sorge la
domanda sulla propria identità.
Decostruendo il senso di identità, il teologo Vito
Mancuso afferma che la nostra più vera identità non è definita da qualcosa di
esteriore, da ciò che non abbiamo scelto.
“Oggi si discute sulla sorgente
che conferisce a un essere umano l’identità di italiano: c’è chi sostiene che
sia il nascere da genitori italiani cioè il sangue (ius sanguinis); chi il
nascere in Italia cioè il territorio (ius soli); e chi la formazione ricevuta
in Italia cioè la cultura (ius scholae). Ma oltre alla nazionalità vi sono
altre sorgenti dell’identità di un essere umano: vi è la professione, che fa
essere insegnante o pasticciere o altro; la politica che fa essere di destra o
di sinistra o di centro; la religione, che se affermata ci fa essere credenti e
se negata atei. E ancora non poche altre cose.
Ma quanto appare a prima vista
decisivo parlando di identità è il fatto di essere nati con un determinato
corpo e in un determinato territorio. E così riteniamo che la nostra identità
sia anzitutto di essere maschio o femmina, bianco o nero, con una tendenza
sessuale o un’altra, italiano o di altra nazionalità, del nord o del sud, di
questa o quest’altra città. Io però ritengo che la vera identità di un essere
umano non sia definita né dalla sua corporeità né dalla sua provenienza.” (Vito
Mancuso, Custodire l’identità).
Ma cosa vuol dire di più quella frase di Francesco
Netti stampata sulla maglietta: “Sono sempre un forestiero nel paese dove
sono nato”?
Posso riferirlo ad un luogo interiore o
contestualizzarlo solo in un ambito geografico?
Mi è di aiuto in questo percorso di ricerca
l’esperienza di un personaggio che ormai novantenne ha dato di sé la seguente
definizione: “Io, sempre straniero.”
Zygmunt Bauman, importante sociologo scomparso di
recente, ha vissuto in Polonia, Israele, Inghilterra e con straordinaria
lucidità, quasi prossimo al termine dei suoi giorni, dava di sé proprio la
definizione di straniero, orgoglioso di essere sempre rimasto tale.
Ebreo polacco, vittima del nazismo, comunista e
poi anticomunista, fu anche espulso dal suo paese.
«Un comico inglese - raccontava – diceva che l’ebreo è un uomo che in ogni
luogo è fuori luogo. Sì, sono nato straniero e morirò straniero. E sono
innamorato di questa mia condizione. […]. Nell’essere “straniero” ci sono
alcuni privilegi. Il più grande di questi è potersene infischiare dell’opinione
pubblica. L’unico tribunale è quello della propria coscienza ed è il più severo
di tutti.»
Se Bauman ha ricondotto e legato il sentimento di
estraneità ad un libero atto di coscienza giudicante il proprio essere ed il
proprio operato, l’idea di identità, legata ad un soggetto libero e
responsabile, sembra ricondurci alla massima filosofica di Socrate, «Conosci te stesso», rimarcando di fatto che in
realtà inizialmente non conosciamo chi siamo.
SIAMO TUTTI STRANIERI STIAMO TUTTI STRANIERI.
La scritta campeggia in alto e in basso sulla
maglietta, con una ripetizione ininterrotta a rimarcare il concetto di
estraneità.
Possiamo davvero considerarci anche noi stranieri?
Anche per noi la nostra identità è giudicata dalla nostra coscienza? Davvero il
mio unico giudice è la mia coscienza?
Altre domande mi si presentano e mi interrogano,
soprattutto riguardo chi vive materialmente la condizione di straniero in
questa terra, magari dopo averla raggiunta avventurosamente o pericolosamente
spinto dalla necessità o dalle guerre.
Una semplice maglietta ha dettato i temi di una
giornata, richiamando l’attenzione ai temi dell’identità, dell’accoglienza,
della convivenza, della coabitazione, della fratellanza, messaggi ai quali per
lo più parte degli umani resta indifferente e parte si attrezza per avversare,
oltre al senso di umanità, chi estraneo lo è davvero, facendo leva sulle paure
o su sentimenti ancor meno nobili.
L’indifferenza, come sottolinea ripetutamente don
Luigi Ciotti agli studenti, resta per molti oggi la realtà predominante, tanto
da affermare che a fare la differenza oggi è proprio l’indifferenza. E se negli
anni sessanta l’analisi della condizione umana ci presentava l’uomo ad una
dimensione, titolo di un famoso libro di Herbert Marcuse, quella individuale,
oggi possiamo sicuramente rilevare la dimensione di un uomo che vive anche nella
completa indifferenza.
Forse non è neppure un caso che quella maglietta
per rompere la dimensione dell’indifferenza sponsorizzasse proprio un evento
musicale, in un cartellone molto vasto di iniziative estive, un dj set, un
mescolamento fatto con arte di musiche diverse.
E’ ancora tutto da analizzare questo evento che
oggi purtroppo ho letto alla luce di un passo evangelico che risuona come una
condanna su di una umanità che lega il proprio senso di appartenenza ad una
dimensione marcata proprio da forme di indifferenza:
“Abbiamo
suonato il flauto e non avete ballato;
vi abbiamo
cantato un lamento e non avete pianto!” LC 7,31-34.
Proprio come quegli idoli che hanno occhi e non
vedono, hanno orecchi e non sentono.
Benché straniero in terra straniera, non restò
indifferente Francesco Netti durante la guerra che si combatté in Francia alla
tragedia umana degli uomini di una parte e di quella avversa, che indossavano
loro malgrado le vesti soldati: fu per questo che prestò servizio presso
l’Ambulanza della Croce Rossa Italiana.
Possono una maglietta ed un po’ di musica
stimolare tali pensieri e veicolare simili messaggi?
Io credo che oggi Francesco Netti sarebbe stato
contento di venire a ballare con noi.
Santeramo in Colle, 27/08/2023
Vittorio Dinielli