sabato 1 dicembre 2012

Discarica Colacicco


Discarica Colacicco:
bisogna rimuovere i rifiuti
Intervista all’Ing. Vito Antonio Demarinis, direttore dei lavori di caratterizzazione della discarica abusiva sull’Alta Murgia.

A Santeramo nell’aprile 2001 Carabinieri e Forestale individuano e pongono sotto sequestro una immensa discarica abusiva di rifiuti speciali di varie tipologie, in località Masseria Luparelli, ai più nota come “la guardiola”, area sottoposta a vincolo idrogeologico e dichiarata ZPS, zona sottoposta a protezione speciale.
Dalla Relazione di Consulenza Tecnica redatta dai  professori D’Agostino e Fracassi del Dipartimento di Chimica dell’Università degli Studi di Bari, su incarico del Sostituto Procuratore  della Repubblica di Bari Nitti, si ha già la percezione delle dimensioni del disastro ambientale cagionato: le analisi effettuate su alcuni campioni di suolo  evidenziavano che i parametri di piombo, rame e zinco superavano in maniera preoccupante i limiti previsti, generando giustificati timori riguardo l’inquinamento del suolo dell’intera area, nella quale erano stati abbandonati in maniera più o meno disordinata, peggio che in una vera discarica, oltre 122.000 metri cubi di rifiuti che hanno drasticamente modificato la morfologia preesistente del sito.
Nel 2007 il Tribunale di Bari emette dure sentenze per i responsabili individuati, condannati inoltre ad un mega risarcimento di 93 milioni di euro nei confronti del Ministero dell’Ambiente.
Una sentenza importante che ha represso un torbido business: dal nord Italia alla Puglia, alla provincia di Bari soprattutto, gli scarti di lavorazione delle grandi fabbriche venivano smaltiti nelle campagne; venivano abbandonati rifiuti sui fondi rustici e realizzate discariche abusive. Quella più estesa a Santeramo, in un terreno di Pietro Colacicco. Venivano abbandonati i fanghi del comparto toscano delle concerie, quelli provenienti dagli impianti di depurazione del Lazio, le polveri delle industrie siderurgiche della Lombardia e della Toscana, pneumatici della Campania, i rifiuti prodotti dalle operazioni di siti inquinati della Liguria e dell’Umbria, i trasformatori contenenti olio contaminato. Falsificati i documenti di trasporto, i rifiuti speciali diventavano, almeno sulla carta, materiali da utilizzare per la produzione di laterizi e per il recupero energetico o fertilizzanti destinati all’agricoltura, spesso addirittura smaltiti nelle campagne dove venivano coltivati ortaggi, frutta o comunque prodotti per l’alimentazione umana e animale. Un traffico di rifiuti organizzato per abbattere il costo dello smaltimento.
L’area della discarica Colacicco a Santeramo da allora è interessata da fenomeni di autocombustione nel sottosuolo, che ingenerano ripetutamente incendi e sprigionano fumi acri e nauseabondi. Di drammatiche proporzioni quello a cui abbiamo assistito l’estate appena trascorsa.
Nel 2008 è stata avviata la complessa procedura per la messa in sicurezza della discarica Colacicco ed è stato redatto il piano di caratterizzazione, adesso appaltato ed eseguito per un importo di ben 235.000 euro, finanziato nell’ambito del Programma Operativo FERS 2007-2013 Puglia, passo propedeutico indispensabile per un successivo progetto di bonifica.
Mentre per la discarica abusiva Colacicco gli autori del reato ambientale sono stati condannati dall’Autorità Giudiziaria, le discariche in località “Montefreddo” e in località “Masseria Scalera-S.Angelo” sono oggetto della procedura di infrazione 2003/2077 da parte della Commissione Europea.
Con le vicende della Murgia avvelenata del 2001 la Pugliaha scoperto l’emergenza rifiuti, ma intanto la raccolta differenziata ancora non decolla.







Il Comune di Santeramo ha incaricato Lei, che ha seguito dall’inizio il progetto di caratterizzazione.
Esattamente. E’ stato fatto il progetto di caratterizzazione ed è stato completato. Abbiamo consegnato il mese scorso i documenti e tutti i risultati delle analisi eseguite in loco, sia sui terreni sia sui rifiuti. Oltre a vedere lo stato di inquinamento dei terreni dove sono stati depositati quei rifiuti, abbiamo fatto anche la caratterizzazione, cioè la classificazione di quei rifiuti.
La normativa prevede anche che il 10% delle analisi eseguite vanno sottoposte all’ARPA (Agenzia Regionale per l’Ambiente).
Si fanno in contraddittorio. Per comparare e per certificare i risultati che abbiamo ottenuto è necessario che l’Arpa certifichi il 10% del campionamento eseguito.
Durante il campionamento abbiamo prelevato dei campioni da mettere a disposizione dell’ARPA. Era nel progetto e lo prevedeva il risultato della Conferenza di Servizi che abbiamo fatto con la Regione.Adesso siamo in attesa dei risultati.
Sorge un problema di carattere economico: nonostante sia un obbligo di legge, l’ARPA vuol essere pagata dal Comune di Santeramo per fare queste analisi. Abbiamo comunque previsto le somme, mettendole a disposizione stralciandole dal quadro economico. Era prevedibile che ci potessero essere nel corso dell’opera degli imprevisti.

Quindi le controanalisi dell’ARPA non sono ancora state fatte? 
No, però sono in corso. Abbiamo consegnato i risultati delle analisi un paio di settimane fa al Comune, al responsabile del procedimento, il geometra Lassandro.  

Quali sono stati i risultati delle analisi?
Abbiamo fatto sia le indagini sul sottosuolo sia le indagini in falda.
Per vedere se i rifiuti depositati da così tanto tempo avessero potuto creare dei problemi in falda, nel progetto furono individuati, con l’approvazione della conferenza di servizi dove erano presenti tutti gli organi compresa l’ARPA, dei pozzi su cui fare i campionamenti. A Santeramo, fortunatamente, osserviamo una falda profonda sui quattrocento metri. La falda non è stata toccata.
Esiste soltanto un inquinamento superficiale, molto superficiale, anche per la natura del terreno.

Anche l’ARPA si occupa dell’analisi della falda?
Certo. Dei campioni che abbiamo fatto alla falda, alcuni vanno all’ARPA.
Per quanto riguarda i rifiuti, invece, ci sono alcuni che non sono pericolosi. Ma alcuni rifiuti sono pericolosi e sono classificati tali. Difficile dire di che tipo sono, quando di un rifiuto non si sa quale sia l’origine. Per classificare appieno un rifiuto bisogna sapere da dove deriva, da quale ciclo di lavorazione.
Ci sono i fanghi, ci sono polveri, però non si capisce da dove provengono. In generale in questi casi il rifiuto viene classificato pericoloso. Una buona parte dei rifiuti sono inerti, perché provengono da demolizioni di capannoni, pavimentazione e simili. C’è poi una grande quantità di traversine ferroviarie, purtroppo oggetto di incendio quest’estate e anche di quelle passate.
Mi occupo del progetto di caratterizzazione dal 2009. Ad un certo punto, fatta la conferenza di servizi e approvata, si bloccò tutto perché mancavano i finanziamenti, pur essendo il primo progetto in graduatoria alla Regione. Non si è fatto più niente. Solo di recente è ripreso il tutto.
I tempi di esecuzione dei lavori sono stati perfettamente rispettati: abbiamo fatto l’ultimazione dei lavori ad agosto 2012. Adesso per avere i risultati delle analisi ci vuole un certo periodo di tempo.
Abbiamo fatto l’ultimazione dei lavori in loco, i prelievi, che sono stati tutti concordati. Sono venuti addirittura i tecnici della Provincia per georeferenziare e stabilire i punti esatti dove fare il campionamento. Noi sapevamo bene dove andavano eseguiti, avevamo le coordinate e li sono stati fatti, come concordato con la Provincia.

Che competenza ha la Provincia?
Ha la competenza in tema di rifiuti e sulla valutazione di incidenza ambientale.
Sono intervenuti due settori: Ambiente e Rifiuti. Alla provincia dei rifiuti si occupa un settore,  dell’ambiente, cui attiene la valutazione di incidenza ambientale, se ne occupa un altro. Questa fu concordata in seno alla conferenza di servizi. Hanno partecipato i Vigili del fuoco e tutti gli enti preposti: Regione, Comune, Ente Parco, dato che siamo al limite del Parco Nazionale dell’Alta Murgia. Anche per questo motivo c’è stata una notevole attenzione.
Oltre a fare i campionamenti sui luoghi, abbiamo eseguito il cosiddetto campionamento bianco:  abbiamo eseguito i campionamenti all’esterno dell’area per vedere se oltre in profondità  nel sottosuolo, l’inquinamento si fosse anche esteso  perimetralmente.
Se pur di ampia area, perché parliamo di quattro ettari di terreno nei quali i rifiuti sono dispersi, l’inquinamento è limitato a quella zona. All’esterno di quella area non c’è niente. I rifiuti non sono stati localizzati in una zona, ma sono stati dispersi in tutta la proprietà: 46.000 metri quadratidi terreno.

E’stato possibile stimare l’entità dei rifiuti scaricati?
Ci sono delle zone in cui hanno riempito le depressioni del suolo, hanno riempito le lame.
Noi siamo andati al di sotto. Abbiamo fatto dei campioni che andavano dai sette ai dieci metri oltre il terreno vegetale originario. Tranne nel terreno superficiale originario non abbiamo trovato tracce di inquinamento in profondità. Sia altimetricamente che planimetricamente la situazione è controllata. Non c’è stata diffusione, neanche nella falda sotterranea. E’ interessata solo la superficie: l’area di quattro ettari di terreno.

Quindi il risultato dello studio effettuato da buone speranze?
Certo. Anche in termini economici. Se ci fosse stato un inquinamento profondo, per intervenire per bonificare ci sarebbe voluto più denaro.

Le indagini sono state dunque condotte in profondità
Fino a dieci metri sotto lo strato vegetale, cioè il terreno, che può essere di 70-80 cm.
La il terreno è stato mosso, rimosso e rivoltato durante le operazioni di scarico. È inevitabile che ad un certo punto ci sia commistione tra il rifiuto ed il terreno. Adesso aspettiamo solo i risultati dell’ARPA per chiudere completamente lo studio e per proseguire.
Adesso bisognerebbe fare la valutazione del rischio che è un atto propedeutico al progetto di bonifica. Dovrebbe farlo il Comune.

Si è verificato qualche episodio spiacevole?
No. Quando sono andato sono sempre stato accompagnato dai carabinieri. Anche perché l’area era sotto sequestro. Prima di iniziare i lavori abbiamo richiesto il dissequestro temporaneo dell’area al giudice per poter operare. Il giudice ha dato l’autorizzazione a poter eseguire i lavori. Abbiamo detto di quanto tempo avevamo necessità, perché contrattualmente i lavori erano previsti in novanta giorni. Noi li abbiamo completati prima.
Tra le altre cose per quell’area c’è già una perizia, all’inizio della vicenda, depositata da parte dei tecnici nominati dalla Procura della Repubblica, che si sono andati a rendere conto di che cosa era avvenuto. I risultati della loro perizia sono quasi gli stessi.
Dopo i risultati della caratterizzazione il passo successivo è la valutazione del rischio: occorre valutare che rischio si corre nel rimuovere i rifiuti.
E quindi poi il piano di bonifica e la bonifica.

Chi si occuperà della bonifica?
Lo deve stabilire il Comune.
La Regione Puglia ha in piedi una procedura di infrazione comunitaria per i siti contaminati. Intorno a questa questione il Governo regionale si deve muovere. Obbligatoriamente. E dato che questo è considerato dalla Regione un sito prioritario, per sua stessa ammissione, nel momento in cui si passerà al finanziamento delle opere delle bonifiche (non è solo questa di Colacicco ma ce ne sono molte altre che interessano i Comuni, pure Acquaviva), credo che questo sarà uno dei primi interventi a essere finanziato.
Anche se ci vorranno un bel po’ di quattrini.

Ci può fare una stima?
Secondo me ci vorranno intorno ai quattro milioni di euro.
I soldi si troveranno. Perché è considerata una cosa importante. E anche perché c’è la procedura di infrazione che non riguarda questa discarica, ma ne riguarda altre.
Se entro il 31 dicembre di quest’anno non farà la caratterizzazione di tutti i siti della regione, la Puglia pagherà 286.000 euro di multa al giorno. Queste date sono state già prorogate più volte.
Ad Acquaviva, per esempio, c’è una discarica di rifiuti fatta in emergenza, realizzata in quel caso dal Comune intorno al ‘93; furono individuati due siti dove portare temporaneamente i rifiuti solidi urbani. Uno è stato già bonificato, l’altro invece no, in contrada Tufara-Tufarelle, dove ci sono cave di tufo dismesse. E’ uno dei siti che appunto rientra nella procedura di infrazione.
Santeramo ne ha due che devono essere bonificate. Una è Montefreddo e l’altra è privata,  essenzialmente di rifiuti inerti.

Quindi la discarica di Via Montefreddo deve essere ancora bonificata, ma deve anche essere caratterizzata?
No. E’ stata fatta la caratterizzazione, solo che non se ne trova traccia.

Come non se ne trova traccia? È sparito il documento?
Purtroppo... Adesso c’è una prassi consolidata, ora si sa come fare. La normativa adesso è chiara, c’è il testo unico, che regolamenta tutti i passaggi.  Prima la caratterizzazione era affidata ai Comuni.
Gli Enti comunali brancolavano nel buio, non solo Santeramo, ma tutti quanti. Il problema è che la caratterizzazione prevedeva una serie di passaggi. Quella di Santeramo si è fermata ad un certo punto. Manca la parte finale. Bisogna completare quella procedura, altrimenti quella caratterizzazione non è valida, bisognerebbe farne un’altra.

Potrebbe fornirci la relazione finale?
La relazione tecnica finale sarà disponibile quando ci saranno i risultati fili da parte dell’ARPA.

Si può già iniziare a parlare di bonifica?
Ho avuto un colloquio con il sindaco che ha ricevuto indicazioni dalla Regione sulla procedura da seguire. Il problema che hanno i Comuni sono i soldi. Purtroppo non ce ne sono.
La Regione fa i bandi, ma per partecipare bisogna avere i progetti. Spesso i comuni non hanno i soldi per affidare le progettazioni, soprattutto quando si parla di questioni specialistiche come questa. Per fare i progetti bisogna affidare gli incarichi.
Fare un progetto di caratterizzazione (questo progetto a Santeramo è costato 235.000 euro) per un Comune è una spesa che non si può sopportare spesso.

Aveva realizzato altri progetti prima di questo?
Si. Mi occupo di bonifica da un po’ di tempo. Ho fatto il progetto alla Fibronit a Bari, per conto di un’azienda di Roma che poi ha eseguito la bonifica. Ho partecipato insieme ad altri tecnici al progetto della bonifica di Bagnoli.

La situazione attuale
In generale la situazione non è molto preoccupante. Ma è chiaro che bisogna intervenire. Indubbiamente: bisogna intervenire. I rifiuti vanno rimossi. Non si può far diversamente. Non si può parlare né di sovracopertura, di cappe, né di altro, perché è talmente ampia la zona che una cosa di questo genere è impensabile.
Inoltre siamo anche in una zona che dal punto di vista geomorfologico si presenta piuttosto complessa: bisogna rimuovere i rifiuti.

Perché complessa?
Ci sono le lame. Nella parte più  bassa del sito, ci sono lame che portano a valle. E’ una cosa impensabile lasciare i rifiuti la. Si andrebbe a modificare la geomorfologia della zona. I rifiuti vanno rimossi.
Una parte possono essere rimossi molto facilmente, dato che c’è una grossa quantità di rifiuti inerti, demolizioni e soprattutto pavimentazioni industriali. Anche le traversine sono di facile rimozione.
Le traversine contengono creosoto. Al tempo le traversine venivano trattate per evitare il tarlo. Il prodotto che veniva usato era fortemente inquinante. Sotto l’acqua c’è il percolamento di questo materiale. Più stanno la e peggio è. Quindi vanno rimosse.
A maggior ragione andrebbe fatto visti gli incendi che ci sono stati.
Gli incendi hanno modificato la situazione dei luoghi: quando sono andato l’ultima volta la situazione era diversa da quella dal momento in cui abbiamo fatto il progetto e abbiamo fatto i sopralluoghi. Sono bruciati capannoni, le serre… una situazione completamente modificata.

                                                                                                   A cura di Vittorio Dinielli


Incendio discarica rifiuti tossici Santeramo in Colle 10/08/2012


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