sabato 4 giugno 2016

Discorsi a tavola

Appunti per la presentazione della lettera enciclica
LAUDATO SI’
del Santo Padre Francesco
sulla cura della casa comune
in occasione della manifestazione DISCORSI A TAVOLA 
- Pizzeria da Mario -
Santeramo in Colle, 22/07/2015



1.      « Laudato si’, mi’ Signore », cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricor­dava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: « Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba ».1

2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Sia­mo cresciuti pensando che eravamo suoi pro­prietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malat­tia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che « geme e soffre le doglie del parto » (Rm 8,22). Dimentichiamo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.

1 Cantico delle creature: Fonti Francescane (FF) 263.

Buonasera e benvenuti.
Dice papa Francesco che niente di questo mondo ci risulta indifferente.
Quando ho letto questo documento ho avuto solo un’esclamazione: FINALMENTE!
E’ giunta a noi questa lettera-enciclica sull’ambiente.
Ha un respiro ecumenico molto ampio. E’ la prima volta che in un’enciclica papale vengono citati testi di cristiani appartenenti ad altre Chiese: viene accolto e presentato il pensiero e l’insegnamento del patriarca ecumenico Bartolomeo. Tra gli autori citati nell’enciclica ci sono anche il filosofo protestante Paul Ricoeur e numerosi rimandi a pensatori cattolici come Romano Guardini  e Theillard de Chardin, i quali, annota Enzo Bianchi priore della comunità monastica di Bose, solitamente sono di difficile reperibilità in documenti romani.
Una sorpresa ancor più grande è trovare in una nota al § 233 il rimando a “un maestro spirituale, Ali-Khawwas”, mistico sufi del XV secolo che così scriveva: “Gli iniziati arrivano a captare quello che dicono il vento che soffia, gli alberi che si flettono, l’acqua che scorre, le mosche che ronzano, le porte che cigolano, il canto degli uccelli, il suono delle corde o dei flauti, il sospiro dei malati, il gemito degli afflitti...” Un musulmano che entra, seppur in nota, in un documento del magistero pontificio per sostenere l’affermazione di papa Francesco che “c’è un mistero da contemplare in una foglia, in un sentiero, nella rugiada, nel volto di un povero”.
In questa logica ecumenica il papa ha voluto anche che alla presentazione dell’enciclica fosse presente Ioannis Zizioulas, metropolita ortodosso di pergamo, strettissimo collaboratore del patriarca Bartolomeo.
Questa enciclica restituisce l’immagine di una Chiesa che si mette in dialogo col mondo, che ascolta le altre chiese cristiane e che non si preclude a rapporti con altre religioni.
Bisogna sottolineare tutta la positività di questo documento:
finalmente è arrivata una presa di posizione chiara sulla salvaguardia dell’ambiente.
Spesso la Chiesa la Chiesa è arrivata tardi ad affermare alcune verità.
 Ci ricorda a questo proposito il teologo Vito Mancuso:

Nel Seicento avvenne la rivoluzione astronomica alla quale la Chiesa si oppose costringendo l’anziano Galileo ad abiurare in ginocchio la teoria copernicana: poi la Chiesa cambiò idea, adattandosi alla realtà. In seguito la rivoluzione politica portò i popoli a determinare laicamente la propria forma di governo e la Chiesa si oppose condannando in particolare lo Stato unitario italiano: poi la Chiesa cambiò idea, adattandosi alla realtà. In seguito la rivoluzione sociale inaugurò diritti umani come il suffragio universale, la parità uomo-donna, l’istruzione obbligatoria statale, la libertà religiosa, contro cui pure insorse lopposizione ecclesiastica: che poi cambiò idea, adattandosi alla realtà. Contestualmente la rivoluzione biologica darwiniana mostrava che le specie risultano il frutto di una lunga evoluzione e non di una creazione puntuale: la Chiesa, prima acerrima nemica, poi cambiò idea, adattandosi alla realtà.
La Chiesa ha cambiato idea anche sul terreno propriamente religioso. La rivoluzione di Lutero prima era un’eresia, oggi è unaltra modalità di vivere il Vangelo. Gli ebrei sono passati da perfidi giudei a fratelli maggiori. Pio IX condannava lidea che «gli uomini, nel culto di qualsiasi religione, possono trovare la via della salvezza eterna», oggi invece ampiamente accettata dalla Chiesa che non sostiene più la dannazione dei non cattolici. Analoghi cambiamenti riguardano linterpretazione della Bibbia, la pena di morte e in genere luso della violenza, prima considerato del tutto legittimo, vedi le crociate e i roghi di uomini e di libri. La constatazione di tali mutamenti infastidisce la mentalità ecclesiastica, portata a considerare le proprie idee come dottrina immutabile e infallibile, ma si tratta di innegabili verità storiche. La Chiesa è quindi unabile trasformista? No, è la logica della vita che è così e che trasforma ogni cosa. Nella vita ciò che non muta muore. Se la Chiesa dopo duemila anni è ancora qui, è perché è ampiamente mutata. Per lo più in meglio, mettendosi in condizione di essere sempre più ospedale da campo, come la vuole papa Francesco, cioè china sulle ferite degli esseri umani per curarne amorevolmente le ferite.

Riguardo le tematiche ambientali, in passato, personalmente, ho registrato orientamenti non univoci dei vescovi. E’ come se ci fosse stato un atteggiamento ondivago, non chiaro, forse poco coraggioso di fronte a problematiche sociali:
per esempio non pochi motivi di perplessità ho avuto nell’osservare l’atteggiamento della chiesa di fronte al fenomeno Mafia:
solo di recente a riguardo papa Francesco ha pronunciato parole inequivocabili dicendo che “i mafiosi sono scomunicati”. Prima di allora esisteva la scomunica nei confronti dei comunisti, degli omosessuali, dei divorziati, degli abortisti, ma stranamente non verso i mafiosi. Quello che è successo a causa di questa ambiguità è ampiamente descritto nella letteratura scientifica sociale.

Riguardo alla salvaguardia dell’ambiente anche in puglia, prima della pubblicazione di questa enciclica, ho potuto osservare nell’insegnamento dei vescovi estremi opposti.
Da un lato sono rimaste scolpite nell’animo di molti le parole coraggiose e profetiche nel loro anelito di pace, che Don Tonino Bello espresse nella forte richiesta di revoca della delibera regionale dell’83 che espropriava gran parte della Murgia ai contadini ed ai pastori minacciando la già avara economia della nostra terra, per farne poligoni militari.
Un documento da rileggere, che è storia della nostra terra:

“Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci”

Puglia: Arca di pace e non arco di guerra

Perché non si rovesci il sogno di Isaia*

È ancora possibile
che sulla nostra terra di Puglia,
riarsa dal sole
e bruciata dalla sete,
il grano della pace diventi pane?

Dichiariamo subito il più profondo rispetto per le istituzioni che rappresentate, la fiducia nel vostro impegno umano, la stima sincera per la vostra persona. Siamo anche certi che il vostro desiderio di costruire la pace non sia meno generoso del nostro.
Ma sentiamo pure il bisogno di dirvi che da tempo la nostra coscienza di cittadini di Puglia è turbata da inquietudini profonde e da oscuri presentimenti.
Dietro la cortina dell'indifferenza, avvertiamo la sensazione che sta avvenendo un mutamento preoccupante nel nostro paesaggio regionale.
Non con i piani di sviluppo delle aree interne.
Non con i progetti di rilancio dei nostri beni ambientali.
Non con le regole che salvaguardino il nostro mare.
Non con le idee trainanti per una produttività ecologica e moderna.
Alla domanda di sviluppo, per lungo tempo inevasa, sembra stia per giungere ben altra risposta. Amara. Priva di orizzonti di speranza. Il cui prevedibile scenario d'attuazione è la guerra con i poveri.
Il destino della nostra assenza dalla storia del progresso sembra oggi capovolgersi. Ma con un protagonismo distorto.
Incombe su di noi la dissolvenza in negativo del testo di Isaia che dice: «Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci, e non si eserciteranno più nell'arte della guerra».
D'ora in avanti diventerà davvero difficile tradurre in atto questo passo profetico sul nostro suolo pugliese, che una contro-vocazione perversa destina a palestra per le «esercitazioni nell'arte della guerra».
Ci sovrasta, infatti, l'ombra di un minaccioso anti-Isaia, dove sono i vomeri a trasformarsi in spade e le falci in lance. Nelle lance degli aerei Tornado a Gioia del Colle. Nelle spade della prima portaerei d'Italia, la «Garibaldi», che si specchierà nell'ingrandito porto di Taranto. Nelle fionde dei caccia d'attacco AMX a Brindisi.
Ma saranno specialmente gli aratri distrutti sugli oltre diecimila ettari di terreno della Murgia a non produrre più credito né per il sogno di Isaia, né per i bilanci della nostra già avara economia.
Staranno solo a significare che oggi ci viene imposto un ruolo «tragico» come nei teatri greci, un tempo così numerosi nella nostra terra. Un ruolo che non ci appartiene né per vocazione di Dio, né per tradizione degli uomini. Un ruolo che vorrebbe ridurci al compito di garantire, con la nostra pelle, la sicurezza di potenti che stanno lontano. Un ruolo che ci fa considerare gendarmi di rincalzo nel Mediterraneo per il servizio di controllo, se non di repressione, sulle folle disperate del terzo e del quarto mondo.
A questa storia ci sentiamo estranei. E coloro che si prestano come comparse a intervenire nella trama dell'olocausto planetario sappiano che forse stanno provocando il disgusto di Dio e la rabbia dei poveri.
A voi, politici, di cui pure comprendiamo la sofferenza e intuiamo le perplessità, chiediamo di mostrare che la rete delle istituzioni non si è scollata dal sentire della gente. Che a voi preme ancora il bene comune. Che ben altri sono i progetti, in calce ai quali volete segnare i vostri nomi. Che su più gloriose pagine della nostra storia ambite figurare come protagonisti. Che l'amore per i poveri e per la loro vita è ancora il principio architettonico della vostra azione sociale.
Coraggio. La revoca della delibera regionale dell'83, che assegnava gran parte della Murgia ai poligoni di tiro, significa che il sogno di Isaia è ancora possibile.
Ed è certamente ancora possibile che sulla nostra terra, pur riarsa dal sole e bruciata dalla sete, il grano della pace diventi pane.

* Appello inviato a tutti i componenti del Consiglio Regionale di Puglia, sottoscritto dai gruppi pugliesi di Pax Christi e fatto proprio dal Coordinamento contro la militarizzazione della Murgia, per la revoca della delibera regionale del 1983 che assegnava gran parte della Murgia ai poligoni di tiro.

Dall’altro estremo non vi nascondo tutta la mia perplessità e di quelli che intorno a me hanno condiviso quella giornata di commemorazione a pochi mesi dalla morte sulla murgia di don Francesco Cassol, ucciso per mano di un cacciatore di frodo, che di notte, in periodo chiuso alla caccia, in zona vietata alla caccia, in un parco nazionale dove vige il divieto assoluto di caccia, armato di fucile ha macchiato la nostra terra col sangue di un sacerdote che aveva scelto la bellezza della nostra murgia per trascorrere la sua estate di preghiera e contemplazione del creato, alla guida delle persone di quanti lo seguivano quel 22 agosto 2010.
Eppure era già nella storia della Chiesa la figura di S. Francesco, ed il santo padre Benedetto XVI aveva già promulgato in occasione della giornata mondiale della pace il messaggio “SE VUOI COLTIVARE LA PACE, CUSTODISCI IL CREATO”.
Ma in occasione di quella commemorazione qualcuno ebbe a dire che in fondo: ”la difesa della Natura non è un compito della Chiesa”.
Finalmente papa Francesco in questo documento dice esattamente il contrario: LA SALVAGUARDIA DELCREATO E’ UN DOVERE PROPRIO DEL CRISTIANO - il cristiano difenda la natura proprio in virtù del suo essere al mondo come cristiano- e che non ci possono essere giustizia e pace slegate dalla salvaguardia del creato.
Facendo proprio l’insegnamento del patriarca ortodosso ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo, papa Francesco dichiara e sancisce l’esistenza del peccato contro l’ambiente. Dice cosi §8:

« Che gli esse­ri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compro­mettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati ».15 Perché « un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio ».

“UN CRIMINE CONTRO LA NATURA E UN CRIMINE CONTRO NOI STESSI E UN PECCATO CONTRO DIO”.

Abbiamo pensato a questo incontro spinti dal bisogno di condividere i contenuti di questa enciclica. Regalandoci la possibilità di leggerne insieme alcuni brani. Proponendone l’ascolto e il dialogo a tutti.
Qualcuno ci ha chiesto a cosa si deve la scelta di questo luogo insolito per un argomento ed un documento così importante.
Noi speriamo vivamente che anche in altri luoghi possano ripetersi iniziative simili, dalle scuole alle sale pubbliche, dalle piazze alle chiese, nella città e nella campagna e che si dia ampio spazio ed ampia diffusione e lettura della lettera del papa.  
Per noi la domanda da porsi è un’altra. Perché non farlo in questo luogo? Si  una pizzeria! un luogo in cui si impastano elementi basilari della vita, farina ed acqua, e se ne da cottura e condimento per farne cibo, nutrimento.
Discorsi a tavola. A volte nelle nostre case non se ne fanno più.
Creduto che la lettura di questa enciclica, intorno alla tavola, può aiutarci a riscoprire il senso della convivialità. Convivio non è solo un genere letterario. Vuol dire VIVERE insieme. Per riscoprire il senso della comunità e dello stare insieme.
Abbiamo pensato di ritrovarci intorno alla tavola di una pizzeria, invece che in un’aula accademica o di conferenze, per condividere il messaggio di papa Francesco in un luogo semplice, pubblico, in cui si svolge una parte della vita normale, quotidiana, in cui trova soddisfacimento un bisogno primario dell’uomo, il bisogno di cibo, in cui è ancora possibile avere occasione di incontro e di relazione con l’altro.
Può essere occasione per favorire appunto CONVIVIALITA’ e CONCORDIA, CONCILIAZIONE.
Come osservatore della realtà di Santeramo, assisto a lacerazioni profonde nel tessuto sociale di questa città: gravi episodi si susseguono e alterano l’armonia che una comunità merita.
La nostra città non è solo sfregiata da atti di vandalismo, non solo è minacciata da forme di inquinamento ambientale, gravi, gravissime e troppo spesso sminuite nella loro portata. Non solo soffre sotto il peso delle dipendenze patologiche vecchie e nuove. Nella nostra città sono forme di inquinamento sociale e mentale anche più difficili da bonificare.
Ultimo solo in ordine di tempo, non è possibile non stigmatizzare l’atteggiamento di chi, servendosi della potenza dei mezzi di informazione, soffia sul vento della discordia, con fini palesemente strumentali, poco obiettivi, con scarsa onestà intellettuale, amplificando e dando la dignità di notizie ad elementi che di per sé non solo la buona informazione, ma anche la semplice onestà porterebbe ad ignorare.

Papa Francesco lancia un messaggio universale diretto ad ogni uomo, a prescindere dalla propria condizione economica, sociale o dalle proprie opere.  Parla ai buoni ed ai cattivi, agli uomini ed alle donne, ai giovani ed agli adulti, ai ricchi ed ai poveri, ai credenti ed agli atei.
Non ci pone solo interrogativi sui fondamentali della nostra esistenza, chi siamo, perché stiamo sulla terra, cosa facciamo.
Ci porta ad interrogarci di cosa sarà la nostra terra comune e a reagire alle ingiustizie; ad opporci alla distruzione della nostra casa comune, a contrastare l’imbarbarimento della vita nelle nostre città, a ritornare ad essere capaci di contemplare e meravigliarsi della bellezza intorno a noi. A non rassegnarci al degrado. A trasmettere a chi verrà dopo di noi un mondo vivibile.
La lettera di papa Francesco ci consegna un messaggio disperato: un grido di allarme che non può restare inascoltato. Dice: STIAMO AFFONDANDO IN UNA SPIRALE DI AUTODISTRUZIONE.

 E’ lo stesso grido di allarme che lanciava poco più di 50 anni fa Giovanni XXIII con la Pacem in Terris. .
Dice papa Francesco:

§3. Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tut­to il “mondo cattolico”, ma aggiungeva « nonché a tutti gli uomini di buona volontà ». Adesso, di fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta.

Si viene così a delineare un parallelo tra la tragica minaccia della guerra nucleare all’inizio degli anni 60 (quando proprio la nostra murgia ospitava le testate atomiche puntate contro il blocco sovietico) e il deterioramento globale dell’ambiente cui stiamo assistendo: una catastrofe ecologica, una minaccia per l’umanità, paragonabile alla catastrofe nucleare.
Laudato si’. Un documento che ci rende consapevoli della nostra responsabilità, del nostro essere chiamati a rispondere dell’uso e della tutela dei beni fondamentali dell’uomo, senza i quali nessun altro diritto umano è possibile; della salvaguardia dei beni comuni: l’acqua, il suolo, l’aria.
Francesco ci chiama a fare fronte comune per fermare il degrado ambientale, urbano e culturale.
Una sfida che sarà possibile affrontare solo insieme, recuperando il senso di comunità.

Papa Francesco ricorre ad un esempio: Francesco di Assisi e scrive:

San Francesco d’Assisi
§10 Non voglio procedere in questa Enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante.
Ho preso il suo nome come guida e come ispira­zione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per
eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore.

§11 La sua testimonianza ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso cate­gorie che trascendono il linguaggio delle scien­ze esatte o della biologia e ci collegano con l’es­senza dell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predica­va persino ai fiori e « li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione ».19 La sua re­azione era molto più che un apprezzamento in­tellettuale o un calcolo economico, perché per lui
qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo disce­polo san Bonaventura narrava che lui, « conside­rando che tutte le cose hanno un’origine comu­ne, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella ».20 Questa convinzione non può essere disprezzata come un romantici­smo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza que­sta apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i no­stri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle ri­sorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrie­tà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.

§12 D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua
bontà: « Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore » (Sap 13,5) e « la sua eterna potenza e divinità ven­gono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute » (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel convento si la­sciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero ele­vare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza.21 Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contemplia­mo nella letizia e nella lode.




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