Scritture ai tempi del Coronavirus, ovvero sul bisogno di pensare e raccontare.
Con uno sguardo dal locale al globale, dall’intimo personale all’universale: le opere da non perdere, perché (ri)leggere quello che siamo stati durante la pandemia, può allenarci a decifrare il cinismo del nostro tempo, attraverso situazioni, tipi e tensioni che lo caratterizzano.
Profondamente diversi sia nella loro struttura che nei
contenuti, i testi dei quali di seguito viene suggerita la lettura sono
espressione del medesimo bisogno, profondamente umano, di leggere la realtà e
di raccontarla.
Dalla tremenda “meraviglia” che nasce dinanzi allo
spettacolo della morte messo in scena dal nuovo virus, parte e si dipana l’esigenza
di pensare e di fissare, attraverso la scrittura e la pubblicazione, emozioni,
percezioni affettive, considerazioni, analisi, spinti dal desiderio di condividere
quanto ha stimolato la propria sensibilità.
Abbiamo assistito nel periodo della pandemia del
Covid19, soprattutto nel periodo del primo confinamento forzato, alla nascita
di una vera e propria letteratura coronavirus-correlata, tanto che potrebbe
apparire a qualcuno un nuovo genere letterario, se non fosse che in realtà questo
filone è ben attestato in letteratura. Posiamo ritrovare in quantità interi
brani o opere del passato nate o ambientate in periodi di gravi calamità, come
nel caso delle epidemie delle quali resta traccia in alcuni racconti biblici, sulle
quali incombe minacciosa e terribile il presentimento di una "punizione
divina", fino al più noto Decameron
di Giovanni Boccaccio, limitandoci solamente a citare le ambientazioni operate da
Manzoni e da Camus durante una pestilenza o i drammatici resoconti storici,
come quello della Guerra del Peloponneso di Tucidide.
Anche a voler cercare nella tradizione orale,
ritroviamo racconti di ricordi e memorie trasmessi dai nostri nonni, come nel
caso della epidemia da “Spagnola” sul finire del secondo decennio del secolo
scorso.
Epidemia, pestilenze, cataclismi e vari altri accidenti
imponderabili non sono mai mancati nel corso della storia, tanto da lasciate attoniti,
impauriti e impressionati interi popoli. Quale indicibile shock, quale terrifico
stupore avranno provato gli egiziani, ad esempio, mentre vedevano morire tutti
i loro primogeniti!
Basti anche solo pensare alla diffusione nel 1300 della
Peste Nera in tutta Europa: un vero "flagello", che veniva
considerato come inviato “per operazion
de’ corpi superiori o per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra
correzione” (Decameron,
Introduzione alla prima novella).
Dimenticati ormai da tempo i racconti della storia,
una terribile sorpresa è stato nei giorni della nostra ipertecnologica modernità
scoprirsi così vulnerabili e che le drammatiche narrazioni del passato potessero
stendere ancora la loro funesta ombra anche sul nostro tempo.
Eppure, nonostante il trascorrere dei secoli, ancora ai
nostri giorni c’è stato chi ha interpretato la recente pandemia da Coronavirus
come un "castigo di Dio" per i peccati dell’uomo. Chiara a tal
proposito la visione del noto teologo domenicano Giovanni Cavalcoli, verso il
quale non sono mancate, neppure da parte mia, le manifestazioni di disapprovazione
e la totale presa di distanza dal suo pensiero, che il domenicano ha ribadito a
più riprese pubblicamente in diverse occasioni, anche nei giorni immediatamente
successivi al terremoto delle Marche,
argomentando, oltre che sulle onde di una radio “che fa male a chi l’ascolta”,
secondo la pungente definizione di p. Alberto Maggi su Radio Maria, e articolando
ampiamente il suo discorso in una sua nuova pubblicazione intitolata “Perché peccando ho meritato i tuoi castighi.
Un teologo davanti al coronavirus”, edizioni Chorabooks, Epub.
Padre Cavalcoli resta il segno tangibile
dell’esistenza di un mondo religioso conservatore, espressione di un pensiero teologico
ancorato a paradigmi preconciliari, completamente staccato dalla vita e dalla
realtà degli uomini.
La produzione letteraria nata nella pandemia da Coronavirus
ha rappresentato una vera sfida allo strapotere della morte, nelle sue più
diverse gradazioni, una reazione umana, naturale, positiva all’oppressione dell’angoscia
raggelante e della solitudine. È servita da antidoto non solo all’irrazionalità
dilagante, al complottismo, al negazionismo, alla retorica ingenua dell’“andrà tutto bene”, apparsa subito vacua,
e perfino a quella degli “eroi”, ormai troppo presto dimenticata, considerato
il moltiplicarsi dei fenomeni di aggressione al personale sanitario nelle
strutture di primo soccorso.
A prescindere da forma e contenuto, queste opere
restano documenti storici importanti che testimoniano il potere terapeutico
della scrittura, capace di rinsaldare legami umani e di riportarci alla
dimensione sociale più viva e reale, sia pur nelle problematiche e nelle
contraddizioni dell’agire umano e delle avversità della storia.
Per quanti di noi sono rimasti indenni o hanno superato
il difficile periodo pandemico, tornare a leggere le opere nate in questo
periodo significa essere obbligati ad un esercizio di riflessione sul pericolo
trascorso, sulla differente percezione del rischio e sulle più differenti
manifestazioni e reazioni, sulle rappresentazioni contrastanti, sulle
discordanti narrazioni che ne sono state fatte, dalla spettacolarizzazione da
talk show, fino all’incomprensibile disprezzo operato da frange di persone che
con la razionalità hanno problematiche di interfacciamento.
Segnalo e consiglio per la lettura, sulla scia di
queste considerazioni, alcune altre opere, che seppur nate dal medesimo terreno
di coltura, tracciano prospettive visuali proprie e differenti.
Si offre al lettore con chiara evidenza ne "I racconti
del Coronavirus" di Domenico Semisa, Wip edizioni, una amara rappresentazione
del comportamento umano. Sia pur nella frammentazione dei tanti protagonisti
che agiscono nell’opera, viene colta di fondo, nell’uomo ai tempi del
Coronavirus, una condizione segnata da un ingenuo cinismo, da una condizione
che tocca uomini e donne, adulti e bambini, segnata da una sorta di nichilismo
depotenziato, un post nichilismo svuotato di contenuti, se mai è possibile
svuotare qualcosa che già di per sé è vuoto per definizione, e caratterizzato
da un mero disprezzo, o meglio da un atteggiamento sprezzante nei confronti di
ideali, valori morali e sociali, alla ricerca di pure convenienze: un cinismo fratello
povero e sfortunato del nichilismo.
Incredibile
dictu, con lo sfaldarsi dei rapporti sociali, a seguito del confinamento
forzato da coronavirus, anche quello che ormai inconsapevolmente appariva il
tranquillo nichilismo del nostro tempo è diventato un nuovo modo di essere al
mondo, un adattamento evolutivo capace di sciogliere in maniera più efficace i
legami sociali.
Più incline alla riflessione storica, legata alla
narrazione degli avvenimenti reali, sia sul piano universale che su quello
locale, appare il testo di Giovanni Tria, “La pandemia. Cronaca da casa mia”,
Adda Editore. La cronaca personalissima dello svolgersi degli avvenimenti
permette di collocare le vicende nel giusto contesto e di dare significato a
molti particolari che nel turbinio degli eventi a molti possono essere passati
inosservati o non meritevoli di attenzione. La piacevole narrazione consente di
portare facilmente il lettore dal piano della cronaca a quello della
riflessione, con interrogativi aperti ai quali ciascuno può sforzarsi di dare
la propria risposta.
Completa l’opera una raccolta di simpatici e
spiritosi aneddoti, che aiutano a riderci un po’ su, accompagnati dalle
efficaci illustrazioni di Giuseppe Inciardi.
Ad ampliare la prospettiva su orizzonti più ampi ci
aiuta la pubblicazione di Donatella Di Cesare “Virus sovrano? L’asfissia
capitalista”, Bollati Boringhieri, nel quale l’analisi sociale,
economica e politica condotta dall’autrice su scala globale manifesta le
convergenza tra l’azione killer del virus patogeno con l’azione soffocante
dell’odierno turbocapitalismo finanziario che marca in maniera ancora più forte
le disparità sociali tra protetti e indifesi, tra garantiti e precari, ben
oltre qualsiasi idea di giustizia, in maniera sfrontata come non mai. La
pandemia ha messo allo scoperto la spietatezza del capitalismo e mostra
l’impossibilità di salvarsi, se non con l’aiuto reciproco, imponendoci di
pensare a un nuovo modo di coabitare.
Chiude questa breve rassegna “COndiVID” de L’incontro
Edizioni – Acquaviva, una agile antologia di racconti, poesie e liberi pensieri
di ben trentacinque autori che hanno voluto condividere il proprio vissuto nel
primo ed emotivamente più provante isolamento forzato.
Inquietanti scene noir, componimenti dal candore fanciullesco,
racconti e liriche di veri narratori e poeti, osservazioni sociologiche e di
profonda analisi interiore compongono un florilegio unico nel suo genere,
frutto di una scommessa lanciata e vinta per superare con la scrittura
condivisa la solitudine imposta.
L’uomo è un essere narrante. Neppure il dolore e le
tragedie più grandi, nelle quali ancora si fatica ad intravedere la via
d’uscita, ci toglieranno l’arte e il piacere del buon raccontare.
“In breve, è
bene pensare anche raccontando, poiché a volte un evento non si esaurisce nel
suo accadere, nemmeno se è narrato bene” (Ernst Bloch).
Vittorio Dinielli
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