martedì 5 febbraio 2019

Per un po' di bellezza ancora


Un quaderno la Bellezza

Poesia
è rifare il mondo, dopo
 il discorso devastatore
del mercadante.

(David Maria Turoldo, Nel segno del Tau, Milano 1992. Pag. 63)

 È ancora possibile ricercare la poesia di fronte al male che ci circonda, all’odio e alla violenza dei nostri giorni, alle ingiustizie di cui siamo spesso muti spettatori?
Affrontato da diversi punti di vista, questo problema ha stimolato in passato diversi autori che ritroviamo spesso su posizioni apparentemente opposte, come in maniera illuminante ci mostra a tal proposito Mario Vargas Llosa in una raccolta di articoli intitolata Tra Sarte e Camus.
Al pari dei narratori e di chi produce letteratura, anche i poeti hanno una responsabilità storica e sociale?
Quale utilità, quale responsabilità scaturisce dall’atto di chi intinge il suo pennino nel calamo?
Anche la poesia al pari della letteratura è una forma di azione, una forza per cambiare il mondo e le coscienze?
Ho trovato a riguardo alcune risposte: la prima è nelle poche parole, all’inizio riportate, che sono bastate a David Maria Turoldo per esprimere tutto il potere che la parola poetica contiene e dischiude, quale efficace antidoto al disordine disseminato dalla crudeltà e dalla tracotanza, o solo anche da chi mira esclusivamente al tornaconto personale, o da chi è dominato da grande avidità.
La seconda riviene dalla recente pubblicazione della raccolta dei testi della prima edizione dell’estemporanea di scrittura “la Bellezza” svoltasi nelle vie di Acquaviva delle Fonti, che contribuisce ad alimentare la speranza di molti per la costruzione di un mondo più umano, di una comunità più legata e intessuta di vincoli più solidali.
Non mancheranno, ci auguriamo, nuove iniziative editoriali che troveranno spazio e accoglienza sia nelle pagine stampate che nella vita di tanti.
Dove ci porta la poesia?
Una via che porta alla bellezza è proprio la poesia, anche quando è poesia che ci racconta di una bellezza trafitta.
L’origine della parola poesia inevitabilmente ci riporta al senso del fare. E tra le infinità di declinazioni di significato del verbo poiew, il dizionario ci restituisce appunto come senso primo quello di fare, fabbricare, costruire.
Il termine fare in occidente è stato da noi spesso camuffato e confuso con “operosità”, avendo dimenticato la sua radice propria, il suo profondo significato: creare qualcosa. Anche Dio, racconta la Bibbia, con la parola fa grandi cose, crea il mondo.
Non manca chi, purtroppo, ancora considera la poesia, secondo i canoni del proprio modo di vivere, come una cosa abbastanza oziosa, così come anche scrivere poesie, leggere i poeti.
Capita non di rado di ritrovare considerazioni del tipo: <<questi farneticano, hanno la testa fra le nuvole; il poeta è uno che non fa niente…>>.
Racconta Vittorino Curci, nella presentazione di Altaluna di Mariapia Giulivo[i],  di essersi reso conto che nella nostra terra spesso dare del poeta ad uno può rappresentare un’offesa e non nasconde tutta la sua perplessità e il suo stupore per aver assistito ad una udienza in pretura nel corso della quale il giudice usò regolarmente la parola “poesia” come sinonimo di “stupidaggine”.
Avevano invece ragione i greci: il fare si origina e viene proprio di li.
Simili deprimenti visioni, tuttavia, non potranno mai slegare il senso della poesia dalla realtà, dal fare, dalla prassi poetica: anche grazie alla poesia ci ritroviamo insieme impegnati a lavorare per qualcosa, per una causa o per uno scopo che a noi interessa, alla ricerca di un fine.
Non si tratta di stare insieme per fare delle cose e basta, ma per farle in un certo modo, per stare con gli altri e imparando a stare con gli altri.
È anche questo il potere della poesia, della sua forza creatrice che rende un po’ gli uomini come déi: una deità poetica, di fare e costruire qualcosa e di farlo non per venderlo, o con l’intento di guadagnarci qualcosa, ma di farlo perché quella è la bellezza, quello è il bene che serve per tutti.
Nasce da qui un grande avvenimento etico: spinti dalla ricerca della bellezza, si finisce per ritrovarsi assieme a collaborare alla costruzione del senso comunitario, alla progettazione della casa comune che è la città e per fare in modo che tutti ritornino alla bellezza o che si scoprano in essa.
Non è nostra intenzione dire agli altri cosa devono fare o non fare: basterebbe che tutti scoprano di essere un po’ poeti.
Di quel tipo di poeti che non vivono nell’astrazione astorica e favoleggiante, ma che sentono l’urgenza e il bisogno di molta ispirazione, guardando a fondo la realtà e di ascoltare le parole degli altri.
Direbbero i mistici islamici che dobbiamo ascoltare persino la lingua degli uccelli del cielo.
La bellezza è una scintilla universale. Diceva Dostoevskij: “la bellezza salverà il mondo”.
Ma forse si sbagliava: la poesia salverà il mondo, i poeti salveranno il mondo, cioè queste persone che non credono solo al reale e al potere opprimente che la realtà esercita su tutti noi.

                                                                                                                           Vittorio Dinielli
                                                                                


[i] Mariapia Giulivo, ALTALUNA. Bosco delle noci. Putignano 1996

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