mercoledì 21 agosto 2019


LA CALABRIA NON È L’INFERNO:
È LA CONDIZIONE DI SENTIRSI ALL’INFERNO ABBANDONATI.
Viaggio d'estate.



Non avrei mai creduto di trovare quello che ho visto.
Lasciata da poco l’uscita Pizzo della Salerno-Reggio Calabria, la litoranea in direzione Tropea mostrava in tutta la sua evidenza lo squallido spettacolo di buste di spazzatura buttate lungo i bordi della strada: una visione davvero triste di cui un turista volentieri farebbe a meno e mai penserebbe di incontrare in località turistiche tanto pubblicizzate.
Credevo fino ad allora che i cumuli di monnezza che è possibile trovare nelle strade dell’entroterra barese fossero il massimo dell’inciviltà, ma questo ben più lungo spettacolo ha segnato il primato.
Ad impreziosire il paesaggio, un numero imprecisato di monumenti al mattone forato, costruzioni incompiute in cemento, molte delle quali in forte odore di abusivismo o di spregio delle norme urbanistiche o del buon gusto: un pugno nell’occhio alla bellezza e all’armonia del paesaggio circostante.
Arriviamo nella località scelta per il nostro soggiorno.
Non mi aveva turbato affatto apprendere dai TG nazionali poco prima della partenza, che proprio in quella piccola località turistica era stato arrestato un pericoloso latinante della criminalità organizzata del territorio, notoriamente conosciuta con il nome di ‘ndrangheta.
A differenza di chi oltre venti anni fa definiva il meridione come “L’inferno” per la presenza della criminalità, sono dell’opinione opposta: credo che proprio in queste terre si è sviluppata la migliore investigazione che l’Italia ha messo in campo nella lotta alle mafie.
La Calabria non è l’Inferno che descriveva Giorgio Bocca proprio all’inizio del suo libro, è soprattutto l’intelligenza messa in campo per riscattarla.
Devo tuttavia riconoscere che Bocca non aveva visto o vissuto quanto mi è capitato di vivere in questa vacanza, al pronto soccorso di Vibo Valentia.
Calabria. Un luogo benedetto da Dio e maledetto dagli uomini.
Trascorsi i primi giorni su di una bellissima spiaggia, decidiamo di puntare a Reggio Calabria per visitare i bronzi di Riace.
È ferragosto. Dopo aver malauguratamente deciso di abbandonare la mappa geografica per seguire le indicazioni stradali del navigatore ed aver percorso improbabili ed impraticabili sentieri montani nel tentativo di giungere all’imbocco autostradale, sbuchiamo all’ingresso di Rosarno.
L’aria è pestifera, quasi irrespirabile, avvelenata da un odore legato a qualche trattamento chimico.
Un cartello stradale traforato da buchi di grosso diametro non lasciano dubbi sulla identità del posto.
Attraversiamo la città. Una selva di antenne che affollavano il tetto di un palazzo si palesavano davanti.
Che sarà mai? mi chiedevo: la centrale delle telecomunicazioni?
No. Un hotel. Incredibile visu. Inquinamento elettromagnetico, questo sconosciuto! E se anche fossero antenne spente, di certo non era un bello spettacolo.
La visita al museo archeologico di Reggio Calabria è stata davvero deludente.
Non mi riferisco alla scarsità, all’esiguità del numero degli oggetti in mostra o alla dimensione degli spazi espositivi.
Ho visitato molti musei in vita mia e mai ho trovato una confusione ed una gestione così approssimativa del flusso dei visitatori, tale da rendere la visita davvero caotica al punto da far risultare poco godibile la visione delle opere esposte.
Ritorniamo al nostro alloggio, decidendo questa volta di non incorrere nell’errore dell’andata e di percorrere interamente la Salerno-Reggio, in direzione opposta questa volta.
Non sto a raccontarvi tutta la mia sorpresa quando ad un tratto sull’autostrada si palesano in successione a ripetizione grandi cartelli gialli che grosso modo dicevano: “tratto di autostrada dal Km tot al Km tot sottoposto a sequestro dall’A.G.”.
È possibile e sicuro viaggiare su un’autostrada sotto sequestro?
L’emozione cresce quando mi raccontano delle carenze della qualità del cemento utilizzato e del rischio di stabilità dei piloni a causa di imperizie progettuali e di errati studi idrici-geologici.
Scegliamo il giorno successivo di cambiare lido.
Affittiamo così un ombrellone e due sdraio.
L’assenza di una ricevuta ci fa pensare ad una attività a nero, ma la presenza di una bandiera rossa issata ed il fischio di un bagnino ci induceva a credere che si trattasse di un lido presidiato e non di quelli totalmente illegali, come ci raccontavano era possibile trovare nella baia di Riaci, dove appunto ci trovavamo.
Certo che la presenza di un bagnino più vigile, la presenza di un defibrillatore e anche di personale preparato ad affrontare emergenze sanitarie sulla spiaggia, potrebbe fare la differenza tra la vita e la morte! (Sic!)
Una mattinata trascorsa solo a prendere il sole. Poi un malore, un evento infausto, il pericolo, la chiamata al 118, l’arrivo dei soccorritori, il trasporto all’ospedale di Vibo Valentia.
Chi era con me in vacanza ha ricevuto tutte le cure che il caso richiedeva, necessarie a mettere al sicuro la vita.
Un vero miracolo!
E credo che oltre alla professionalità della dottoressa che ha preso in carico e ha seguito il decorso dell’evento traumatico, proprio di miracolo bisogna anche parlare, se si tiene conto delle condizioni lavorative, della scarsità di personale e dello stato di fatiscenza della struttura nella quale gli operatori sanitari di Vibo Valentia sono costretti ad operare.
È inimmaginabile credere che in Italia possano esistere strutture sanitarie ridotte in uno stato talmente pietoso.
Ospite involontario per quasi quattro giorni presso la struttura di Osservazione Breve Intensiva legata al pronto soccorso, non ho potuto fare a meno di registrare una dopo l’altra molte delle carenze che la struttura mostra.
Il pronto soccorso si presenta angusto, con gli spazi delle medicherie davvero ridotti, a volte occupati anche da tre barelle contemporaneamente. Solo in un ambulatorio ho visto una lampada scialitica.
Il livello di pulizia generale lascia molto a desiderare.
Quello che colpisce è la scarsità di personale medico ed infermieristico ed il sovraffollamento incontrollato di pazienti in attesa nel corridoio, con un livello di tensione e di confusione crescente e costante.
Pressoché assente il personale ausiliario.
La disponibilità degli infermieri è altissima, ma è evidente che sono impegnati anche per mansioni che vanno ben oltre la specificità del loro ruolo, come dispensare i pasti o trasportare i prelievi in laboratorio.
Il carico degli infermieri è aggravato dall’assenza totale di personale nell’OBI, per cui gli stessi infermieri, oltre a far fronte alle necessita delle medicherie di pronto soccorso, devono occuparsi della somministrazione delle terapie ai pazienti in osservazione.
Per assenza di posti disponibili nella struttura, sembra che l’OBI venga utilizzato anche come luogo d’appoggio e di ricovero temporaneo.
Vi lascio solo immaginare cosa succede quando per una qualsiasi ragione manca una sola unità per personale medico o infermieristico nel turno di lavoro, col rischio stesso che non venga somministrata la terapia a chi è degente in osservazione.
Capita anche che per interi turni il personale medico non riesca a fare nemmeno un giro di visita, come avviene di regola in ogni struttura sanitaria normale e come ogni persona sofferente ricoverata ha diritto che avvenga.
Capita anche che per via della tensione che si crea a causa del numero delle richieste che piovono dai molti fronti un medico possa gridarti contro ancor prima che tu possa aprir bocca per formulare una richiesta di qualsiasi natura.
Il livello di pulizia delle stanze di degenza dell’OBI è davvero scarso non solo sul pavimento: c’è sporcizia evidente sulle pareti e sulle tapparelle. Il bagno cieco.
È domenica. Un condizionatore gocciola nel corridoio. Si è già formata una pericolosa pozza d’acqua che costituisce un pericolo serio di scivolare per chi lo attraversa, personale, pazienti e parenti.
Il gocciolio è ininterrotto. Non interviene nessun tecnico, nessun manutentore.
Vedo una dottoressa aprire il quadro elettrico e disarmare una linea di interruttori.
Un altro medico butta delle lenzuola sulla pozza d’acqua per asciugarla.
Bisognerà aspettare un giorno per vedere l’intervento di un tecnico. Pieno agosto nella corsia di un ospedale!
La biancheria sembra scarseggiare. Alcuni parenti di pazienti ricoverati portano da casa le lenzuola.
Vedo scorrere acqua gialla dal rubinetto del bagno.
Una porta tagliafuoco separa il corridoio delle medicherie del pronto soccorso dalle stanze di degenza OBI.
È ridotta talmente male da aprirsi ormai a fatica. Il maniglione antipanico ormai non svolge più la funzione per la quale è stato progettato. Paradossalmente in caso di incendio, non aprendosi a chi non sa quanta violenza occorre esercitare per azionarla, sarebbe un elemento che creerebbe panico, o peggio ancora una pericolosa trappola!
Di notte non si riesce a dormire per via di un forte rumore proveniente dall’esterno come di compressore che segna sul mio fonometro un valore con punte di 72 decibel.
Avverto il centralinista, ma senza alcun esito.
Non si possono tenere chiuse le finestre nel tentativo di ridurre il rumore per via del caldo.
Provo ugualmente, ma l’effetto è opposto: i vetri delle finestre tremano e fungono da pelle di tamburo.
Eppure la qualità delle condizioni di degenza dovrebbe essere parte integrante della cura!
Nessun inserviente accompagna i pazienti ricoverati alle visite strumentali. C’è chi va anche da solo a fare i raggi o la TAC.
Trascorro il mio secondo giorno per fare assistenza per quel che posso all’ospedale di Vibo Valentia.
Ho parcheggiato la mia automobile in prossimità del pronto soccorso dietro la striscia blu, premurandomi di pagare il parcheggio per l’intera giornata.
Quando la sera torno in auto per recuperare generi di conforto, mi accorgo con sorpresa di una multa della polizia municipale che campeggia sotto il tergicristallo.
Cerco di spiegare all’operatore di polizia che contatto per telefono la situazione nella quale mi trovo e soprattutto il fatto che il pagamento della sosta l’avevo regolarmente effettuato ed esposto in maniera visibile il talloncino sul cruscotto.
Vana per un’ora l’attesa della pattuglia inviata per visionare la prova di pagamento.
Armato di santa pazienza di reco di persona al comando per la pratica del caso.
Personalmente ho creduto nella possibilità che si fosse trattato di un errore materiale dell’operatore.
Ad ascoltare quanto raccontavano abitanti del posto, potrebbe sembrare invece il frutto di una politica tendente a far cassa sulle spalle di automobilisti che per una ragione o per un’altra non hanno la possibilità di presentare l’istanza dell’annullamento della multa.
Se davvero fosse così, ci sarebbe da chiedersi in che razza di paese mi è capitato di finire!
Gli episodi spiacevoli in questi quattro giorni di permanenza si sono accaniti quasi su di un novello Giobbe.
Sarebbe troppo lungo starli a raccontare tutti nello specifico.
Di fatto non mi son fatto mancare neppure un inseguimento da parte di un branco di cani randagi, una puntura di vespa per aver involontariamente urtato la busta di spazzatura nella quale stavano banchettando, trovare la farmacia chiusa senza alcun cartello sulle ragioni della chiusura, trovare un’infermiera che ti dice che nel reparto non hanno medicinali per la puntura di insetti, telefonare ad un hotel per poi recarmi in un altro, smarrire alcuni effetti personali… tutto sommato si tratta di piccoli inconvenienti della vita.
Che nome dare a tutto questo?
Concatenazione di eventi sfavorevoli?
Forse, Calabria. Un luogo dove puoi sperimentare la condizione di sentirti all’inferno abbandonato.


Un giudizio sintetico sul pronto soccorso di Vibo Valentia
Stato della struttura:                     fatiscente, del tutto insufficiente
Manutenzione:                              pessima
Pulizia:                                          scadente
Professionalità infermieri:            ottima
personale ausiliario                       praticamente assente

UN RINGRAZIAMENTO SPECIALE ALLA DOTT.SSA MARIANNA RODOLICO, AL TEAM DEL 118 E AGLI INFERMIERI CHE CON PROFESSIONALITÀ E MOLTA DISPONIBILITÀ HANNO MOSTRATO CHE PUR NELLA PRECARIETA’ DEI MEZZI CONTINGENTI È ANCORA POSSIBILE L’EMPATIA E LA SOLIDARIETÀ UMANA.


Vittorio Dinielli

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